Il complesso parrocchiale in Gallina, località collinare del reggino con nucleo storico di impianto urbanistico tardo settecentesco, è composto da tre diversi edifici insistenti su un’area centrale e separati tra loro dalle strade esistenti.
I tre edifici sono rispettivamente la Chiesa di “S. Nicola di Bari”, l’edificio che ospita i Locali di Ministero Pastorale e la Casa Canonica.
Per una facilità di lettura si riportano singolarmente le caratteristiche dello stato dei luoghi e gli interventi necessari e finalizzati al corretto utilizzo degli stessi.
I tre edifici sono rispettivamente la Chiesa di “S. Nicola di Bari”, l’edificio che ospita i Locali di Ministero Pastorale e la Casa Canonica.
Per una facilità di lettura si riportano singolarmente le caratteristiche dello stato dei luoghi e gli interventi necessari e finalizzati al corretto utilizzo degli stessi.
La chiesa parrocchiale di “S. Nicola di Bari” in Gallina si affaccia con il prospetto principale sulla piazza centrale prospiciente all’edificio che fu sede della Municipalità ed oggi Delegazione Municipale.
L’edificio attuale occupa il medesimo sito della chiesa precedente, distrutta dal terremoto del 1908. La ricostruzione, avviata nel 1926, con una struttura in cemento armato, è stata completata nel 1933 e poi consacrata ed ha avuto successivamente riparazioni dopo i danni bellici dovuti ai bombardamenti dell’agosto 1943.
Descrizione dello stato di fatto
La chiesa oggi presenta in parte all’interno ma soprattutto all’esterno alterazioni dovute alla particolare giacitura su un’area pianeggiante in cui il sedime è caratterizzato da strati superficiali con subsidenza di acque meteoriche. Infatti, nel tempo si sono innescati alcuni fenomeni che hanno provocato un processo di degrado nelle facciate e particolarmente nella parte del basamento che seppur riparato saltuariamente mostrano segni evidenti di disgregazione delle superfici di finitura e di alterazioni, dovute a rigonfiamenti delle armature ferrose, della parte emergente delle travi del telaio di base e delle lesene.
Le patologie sono tipiche delle strutture in cemento armato dovendo tenere presente inoltre che l’uso di tale tecnologia costruttiva, che ha caratterizzato la ricostruzione edilizia nell’area colpita dal sisma del 1908, non aveva ancora raggiunto, nella prima metà del XX secolo livelli prestazionali tali da contrastare alcune fenomenologie che si legano alla durata ed alla protezione dei materiali.
L’interno della chiesa, caratterizzata da una navata centrale e da due navate laterali, cui si accede attraverso un atrio dalla piazza e da due aperture laterali, presenta i segni di interventi eseguiti nella finitura delle pareti. La pavimentazione è costituita un pavimento in lastre di granito con decorazioni.
Le patologie sono tipiche delle strutture in cemento armato dovendo tenere presente inoltre che l’uso di tale tecnologia costruttiva, che ha caratterizzato la ricostruzione edilizia nell’area colpita dal sisma del 1908, non aveva ancora raggiunto, nella prima metà del XX secolo livelli prestazionali tali da contrastare alcune fenomenologie che si legano alla durata ed alla protezione dei materiali.
L’interno della chiesa, caratterizzata da una navata centrale e da due navate laterali, cui si accede attraverso un atrio dalla piazza e da due aperture laterali, presenta i segni di interventi eseguiti nella finitura delle pareti. La pavimentazione è costituita un pavimento in lastre di granito con decorazioni.
Cause del degrado e del distacco degli elementi decorativi
Quanto evidenziato nella relazione storico-artistica in merito alla esecuzione di lavori per la edificazione del tempio ed ai danni bellici si aggiunge alla attività di conoscenza diretta delle patologie avviate nell’edificio sin dagli anni Novanta del XX secolo.
Sebbene interessata tra il 1994 ed il 1996 da un esteso intervento di restauro effettuato a cura della Soprintendenza, la facciata manifesta, come evidenziato nel rilevamento fotografico, la necessità di un intervento di restauro che ponga fine ai piccoli crolli e ai dissesti superficiali che si sono manifestati negli ultimi anni, consentendo di risolvere le problematiche tipiche di molti edifici realizzati con analoghe tecniche costruttive che hanno adattato le innovazioni tecnologiche alla espressività di canoni artistici.
La modellazione in calcestruzzo armato di elementi architettonici un tempo realizzati con materiali lapidei fu certamente dettata dall’associare alle strutture antisismiche elementi architettonici che attraverso canoni eclettici riproponevano decorazioni stilistiche del passato.
L’associare forme a rilievo agli strati superficiali di finitura non era certo una novità nelle tradizioni padane o di alcune aree collinari del centro e del nord Italia laddove, parimenti alla diffusione dei calcestruzzi cementizi che consentirono, attraverso varie sperimentazioni, di introdurre un nuovo elemento tecnologico che venne definito pietra artificiale con l’intento di imitare la pietra, non solo nelle sue caratteristiche esteriori (grana, tessitura e colore), ma anche per il suo comportamento (aspetti caratterizzati dai parametri fisici, chimici e meccanici).
Costituita da un impasto a base di legante, sabbia e aggregati (di varia granulometria e composizione litoidea, compresa in alcune parti la polvere e graniglia di marmo) era miscelata con acqua e poi colata in stampi. Come si è avuto modo di osservare in un recente progetto, si sperimentarono vari leganti, dapprima a base di calce, pozzolana e argilla, in percentuali variabili, per poi passare ad un uso predominante del cemento. Questo, a differenza delle calci aeree, presentava il vantaggio di fare presa ed indurire in modo omogeneo in tutto il suo spessore ed al contempo essere lavorabile e modellabile (prima dell’asciugatura) come una pietra naturale.
Come ha osservato la Fant in un recente saggio, la diffusione della pietra artificiale avviene tra la fine dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento perché “…La fase Liberty si presenta con decorazioni formali a motivi naturalistici ed una particolare profusione di ornamentazione dell’apparato decorativo architettonico, ove la creatività degli operatori (progettisti e artigiani) si ispirava alle tecniche costruttive che facevano parte della tradizione artigiana degli ornati in pietra, in stucco, in materiali ceramici e nel ferro…”.
Dopo l’evento sismico, l’apporto di culture ingegneristiche ed architettoniche provenienti da altri contesti geografici fece sperimentare ampiamente, nel corso della ricostruzione delle città di Reggio e Messina, nuove tecniche che se da una parte introducevano la tecnica del cemento armato nella realizzazione delle strutture dei nuovi edifici, dall’altra affidavano alle armature ferrose anche il compito, nella decorazione delle facciate, di supportare spessori notevoli tipici delle decorazioni a rilievo.
La ricerca di nuove soluzioni non teneva conto del requisito di durabilità delle nuove scelte tecnologiche che esigeva il rispetto di procedure tecniche e di conoscenze sul comportamento dei materiali in aree che per la loro localizzazione geografica sono soggette nei periodi estivi a forti escursioni termiche.
Sebbene interessata tra il 1994 ed il 1996 da un esteso intervento di restauro effettuato a cura della Soprintendenza, la facciata manifesta, come evidenziato nel rilevamento fotografico, la necessità di un intervento di restauro che ponga fine ai piccoli crolli e ai dissesti superficiali che si sono manifestati negli ultimi anni, consentendo di risolvere le problematiche tipiche di molti edifici realizzati con analoghe tecniche costruttive che hanno adattato le innovazioni tecnologiche alla espressività di canoni artistici.
La modellazione in calcestruzzo armato di elementi architettonici un tempo realizzati con materiali lapidei fu certamente dettata dall’associare alle strutture antisismiche elementi architettonici che attraverso canoni eclettici riproponevano decorazioni stilistiche del passato.
L’associare forme a rilievo agli strati superficiali di finitura non era certo una novità nelle tradizioni padane o di alcune aree collinari del centro e del nord Italia laddove, parimenti alla diffusione dei calcestruzzi cementizi che consentirono, attraverso varie sperimentazioni, di introdurre un nuovo elemento tecnologico che venne definito pietra artificiale con l’intento di imitare la pietra, non solo nelle sue caratteristiche esteriori (grana, tessitura e colore), ma anche per il suo comportamento (aspetti caratterizzati dai parametri fisici, chimici e meccanici).
Costituita da un impasto a base di legante, sabbia e aggregati (di varia granulometria e composizione litoidea, compresa in alcune parti la polvere e graniglia di marmo) era miscelata con acqua e poi colata in stampi. Come si è avuto modo di osservare in un recente progetto, si sperimentarono vari leganti, dapprima a base di calce, pozzolana e argilla, in percentuali variabili, per poi passare ad un uso predominante del cemento. Questo, a differenza delle calci aeree, presentava il vantaggio di fare presa ed indurire in modo omogeneo in tutto il suo spessore ed al contempo essere lavorabile e modellabile (prima dell’asciugatura) come una pietra naturale.
Come ha osservato la Fant in un recente saggio, la diffusione della pietra artificiale avviene tra la fine dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento perché “…La fase Liberty si presenta con decorazioni formali a motivi naturalistici ed una particolare profusione di ornamentazione dell’apparato decorativo architettonico, ove la creatività degli operatori (progettisti e artigiani) si ispirava alle tecniche costruttive che facevano parte della tradizione artigiana degli ornati in pietra, in stucco, in materiali ceramici e nel ferro…”.
Dopo l’evento sismico, l’apporto di culture ingegneristiche ed architettoniche provenienti da altri contesti geografici fece sperimentare ampiamente, nel corso della ricostruzione delle città di Reggio e Messina, nuove tecniche che se da una parte introducevano la tecnica del cemento armato nella realizzazione delle strutture dei nuovi edifici, dall’altra affidavano alle armature ferrose anche il compito, nella decorazione delle facciate, di supportare spessori notevoli tipici delle decorazioni a rilievo.
La ricerca di nuove soluzioni non teneva conto del requisito di durabilità delle nuove scelte tecnologiche che esigeva il rispetto di procedure tecniche e di conoscenze sul comportamento dei materiali in aree che per la loro localizzazione geografica sono soggette nei periodi estivi a forti escursioni termiche.
Patologie presenti sui prospetti esterni della chiesa
Una ricognizione accurata effettuata su tutta la superficie della facciata ha consentito di rilevare fenomeni di alterazione, fenomeni di degradazione di tipo differenziale e la presenza di depositi superficiali oltre a fenomeni di distacco superficiale degli intonaci di finitura.
Le patologie riscontrate nella facciata evidenziano che l’azione disgregatrice meccanica ha interessato prevalentemente la componente cementizia. I fenomeni di distacco hanno avuto origine dall’ossidazione e carbonatazione dell’armatura che dapprima ha rigonfiato la parte e successivamente disgregato l’elemento ferroso determinando dapprima microlesioni superficiali che successivamente con l’azione delle acque meteoriche e delle dilatazioni termiche hanno frammentato la compattezza iniziale dell’elemento decorativo.
Le principali alterazioni e tipi di degrado rilevati, per i quali saranno avviati ulteriori verifiche da effettuare in laboratorio in fase d’opera, si sono manifestate sulle facciate con intensità differente a seconda dell’esposizione della medesima o in funzione della localizzazione della parte: esposizione diretta agli agenti atmosferici per aggetti quali elementi decorativi di coronamento, o parti protette come mensole, decorazione sottogronda, morfologia e quota rispetto alla facciata I fenomeni di degrado si possono identificare quindi in semplici alterazioni o patologie più gravi che modificano la forma in modo irreversibile deformazione o fratturazione di elementi a rilievo, con il conseguente rischio di crollo del blocco o del pezzo.
Le cause di degrado sono di tipo chimico-fisico, da imputarsi agli agenti atmosferici, in particolare alla pioggia e dall’azione del vento e all’inquinamento. Nelle parti di ristagno dell’acqua e dell’umidità infatti si sono generati ambienti favorevoli alla presenza di un degrado di tipo biologico, identificato da muschi e biodeteriogeni.
Anche l’invecchiamento naturale del materiale tende a perdere progressivamente l’alcalinità del cemento, agevolando il fenomeno della carbonatazione e, quindi, la creazione di soluzioni di continuità. Quest’ultime portano l’acqua e l’umidità dell’aria all’interno del materiale causando il degrado dei ferri di supporto o di fissaggio degli elementi. Nelle strutture in cemento armato, la protezione dei ferri dal fenomeno di ossidazione è svolta dall’impermeabilizzazione del cemento stesso e dal suo elevato pH (> 9,5) quindi non appena viene meno questa proprietà i ferri di armatura sono soggetti all’ossidazione, con il relativo aumento di volume degli ossidi di ferro rispetto al materiale ferroso di origine che porta successivamente all’espulsione del copriferro e al distacco delle parti.
Le patologie riscontrate nella facciata evidenziano che l’azione disgregatrice meccanica ha interessato prevalentemente la componente cementizia. I fenomeni di distacco hanno avuto origine dall’ossidazione e carbonatazione dell’armatura che dapprima ha rigonfiato la parte e successivamente disgregato l’elemento ferroso determinando dapprima microlesioni superficiali che successivamente con l’azione delle acque meteoriche e delle dilatazioni termiche hanno frammentato la compattezza iniziale dell’elemento decorativo.
Le principali alterazioni e tipi di degrado rilevati, per i quali saranno avviati ulteriori verifiche da effettuare in laboratorio in fase d’opera, si sono manifestate sulle facciate con intensità differente a seconda dell’esposizione della medesima o in funzione della localizzazione della parte: esposizione diretta agli agenti atmosferici per aggetti quali elementi decorativi di coronamento, o parti protette come mensole, decorazione sottogronda, morfologia e quota rispetto alla facciata I fenomeni di degrado si possono identificare quindi in semplici alterazioni o patologie più gravi che modificano la forma in modo irreversibile deformazione o fratturazione di elementi a rilievo, con il conseguente rischio di crollo del blocco o del pezzo.
Le cause di degrado sono di tipo chimico-fisico, da imputarsi agli agenti atmosferici, in particolare alla pioggia e dall’azione del vento e all’inquinamento. Nelle parti di ristagno dell’acqua e dell’umidità infatti si sono generati ambienti favorevoli alla presenza di un degrado di tipo biologico, identificato da muschi e biodeteriogeni.
Anche l’invecchiamento naturale del materiale tende a perdere progressivamente l’alcalinità del cemento, agevolando il fenomeno della carbonatazione e, quindi, la creazione di soluzioni di continuità. Quest’ultime portano l’acqua e l’umidità dell’aria all’interno del materiale causando il degrado dei ferri di supporto o di fissaggio degli elementi. Nelle strutture in cemento armato, la protezione dei ferri dal fenomeno di ossidazione è svolta dall’impermeabilizzazione del cemento stesso e dal suo elevato pH (> 9,5) quindi non appena viene meno questa proprietà i ferri di armatura sono soggetti all’ossidazione, con il relativo aumento di volume degli ossidi di ferro rispetto al materiale ferroso di origine che porta successivamente all’espulsione del copriferro e al distacco delle parti.
Confronto con precedenti interventi
Le tracce rilevate nei pezzi di elementi decorativi esaminati confermano la diffusione delle patologie descritte in precedenza, già rilevata in altri interventi su edifici realizzati con analoghe tecniche costruttive. L’esperienza acquisita in occasione di altri restauri, su edifici costruiti negli stessi anni, attraverso una analisi approfondita dei campioni di intonaco e sui materiali cementizi, ci consente di cogliere meglio la portata dell’intervento che si presenta diffuso interessando soltanto parzialmente le parti già interessate da precedenti interventi di restauro.
C’è tuttavia da evidenziare, dovendo prendere in considerazione che in occasione dei restauri degli anni novanta del secolo passato si è già intervenuto in molti elementi precedentemente interessati da patologie analoghe.
C’è tuttavia da evidenziare, dovendo prendere in considerazione che in occasione dei restauri degli anni novanta del secolo passato si è già intervenuto in molti elementi precedentemente interessati da patologie analoghe.
Tecniche di intervento per il restauro della facciata
Sulla scorta di quanto osservato in precedenza è opportuno, laddove si è intervenuti nel passato verificandosi il riproporsi di patologie di distacco, valutare preventivamente le procedure per rendere efficace il nuovo intervento di restauro.
L’attuazione di indagini diagnostiche preliminari che permettano da un lato di identificare i singoli componenti del materiale esistente (aggregati, tipi di leganti, eventuali additivi, ecc) e dall’altro di definire i parametri per la scelta dei materiali e delle tecniche più appropriate e compatibili da applicare (porosità, assorbimento d’acqua, umidità, permeabilità al vapore acqueo), oltre ad una fase di prove o campionamento per la messa a punto dei parametri d’intervento come ad esempio la pulitura. In tal senso i materiali da impiegare devono essere prima testati in merito alla loro effettiva capacità di garantire una durata nel tempo.
La prima fase del lavoro deve garantire la messa in sicurezza del luogo di lavoro e la salvaguardia delle parti in procinto di cadere attraverso l’applicazione di bendaggio di sostegno e protezione nei casi per consentire il successivo consolidamento in situazioni di sicurezza.
Si procederà quindi alla rimozione dei depositi superficiali parzialmente aderenti (quali terriccio, guano ecc.) con acqua, spruzzatori, pennelli, spazzole e spugne.
Si eseguirà quindi una disinfezione da colonie di microorganismi autotrofi e/o eterotrofi mediante applicazione di biocida sui metri quadrati effettivamente interessati dal fenomeno.
Si provvederà parimenti alla rimozione dei depositi superficiali coerenti, incrostazioni, concrezioni, fissativi alterati mediante applicazione di compresse imbevute di soluzione satura di sali inorganici o carbonato di ammonio. Si opereranno preventivamente saggi per la scelta della soluzione e per determinare i tempi di applicazione idonei alla successiva rimozione meccanica dei depositi solubilizzati mediante pennellesse, spazzole, bisturi, specilli Per i depositi compatti e molto aderenti alle superfici si provvederà con più cicli di applicazione prevedendo l’eventuale ripristino delle parti necessariamente asportate con materiali compatibili per composizione e colorazione.
La rimozione meccanica delle stuccature eseguite durante gli interventi precedenti verrà eseguita con materiali che, per composizione, possono interagire con quelli costitutivi che hanno perduto la loro funzione conservativa o estetica, per una profondità massima di 3 cm.
Per le parti più ammalorate di procederà attraverso una spicconatura di intonaco a vivo di muro, di spessore fino a 5 cm, avendo cura di salvaguardare gli elementi architettonici presenti.
Per le parti in pietra e la zoccolatura si eseguirà una pulitura di superfici di pietra o in laterizio mediante l’uso di idropulitrice o sabbiatrice.
Per le cornici ed i cornicioni ammalo rati si opererà mediante il rifacimento delle cornici di stucco sagomate di sottogronda o cornicione terminale in aggetto attraverso la formazione di ossatura portante piena in muratura di mattoni con malta cementizia, la predisposizione di modine secondo sagoma che verrà concordata con la Direzione dei Lavori. Coerente con la sagoma esistente.
Per i decori presenti sul cornicione e nel campanile, dei decori sopra e sotto le finestre, dei capitelli comprendente le seguenti lavorazioni si provvederà al loro restauro attraverso la rimozione di depositi superficiali aderenti con acqua, spruzzatori o pennelli e l’applicazione di bendaggio di sostegno nei casi di fratturazione o fessurazione per consentire l’applicazione del consolidante.
Si precisa che per l’attività di restauro si opererà in stretta collaborazione con la
Soprintendenza ai Beni Architettonici.
Le operazioni da avviare si possono così sintetizzare:
L’attuazione di indagini diagnostiche preliminari che permettano da un lato di identificare i singoli componenti del materiale esistente (aggregati, tipi di leganti, eventuali additivi, ecc) e dall’altro di definire i parametri per la scelta dei materiali e delle tecniche più appropriate e compatibili da applicare (porosità, assorbimento d’acqua, umidità, permeabilità al vapore acqueo), oltre ad una fase di prove o campionamento per la messa a punto dei parametri d’intervento come ad esempio la pulitura. In tal senso i materiali da impiegare devono essere prima testati in merito alla loro effettiva capacità di garantire una durata nel tempo.
La prima fase del lavoro deve garantire la messa in sicurezza del luogo di lavoro e la salvaguardia delle parti in procinto di cadere attraverso l’applicazione di bendaggio di sostegno e protezione nei casi per consentire il successivo consolidamento in situazioni di sicurezza.
Si procederà quindi alla rimozione dei depositi superficiali parzialmente aderenti (quali terriccio, guano ecc.) con acqua, spruzzatori, pennelli, spazzole e spugne.
Si eseguirà quindi una disinfezione da colonie di microorganismi autotrofi e/o eterotrofi mediante applicazione di biocida sui metri quadrati effettivamente interessati dal fenomeno.
Si provvederà parimenti alla rimozione dei depositi superficiali coerenti, incrostazioni, concrezioni, fissativi alterati mediante applicazione di compresse imbevute di soluzione satura di sali inorganici o carbonato di ammonio. Si opereranno preventivamente saggi per la scelta della soluzione e per determinare i tempi di applicazione idonei alla successiva rimozione meccanica dei depositi solubilizzati mediante pennellesse, spazzole, bisturi, specilli Per i depositi compatti e molto aderenti alle superfici si provvederà con più cicli di applicazione prevedendo l’eventuale ripristino delle parti necessariamente asportate con materiali compatibili per composizione e colorazione.
La rimozione meccanica delle stuccature eseguite durante gli interventi precedenti verrà eseguita con materiali che, per composizione, possono interagire con quelli costitutivi che hanno perduto la loro funzione conservativa o estetica, per una profondità massima di 3 cm.
Per le parti più ammalorate di procederà attraverso una spicconatura di intonaco a vivo di muro, di spessore fino a 5 cm, avendo cura di salvaguardare gli elementi architettonici presenti.
Per le parti in pietra e la zoccolatura si eseguirà una pulitura di superfici di pietra o in laterizio mediante l’uso di idropulitrice o sabbiatrice.
Per le cornici ed i cornicioni ammalo rati si opererà mediante il rifacimento delle cornici di stucco sagomate di sottogronda o cornicione terminale in aggetto attraverso la formazione di ossatura portante piena in muratura di mattoni con malta cementizia, la predisposizione di modine secondo sagoma che verrà concordata con la Direzione dei Lavori. Coerente con la sagoma esistente.
Per i decori presenti sul cornicione e nel campanile, dei decori sopra e sotto le finestre, dei capitelli comprendente le seguenti lavorazioni si provvederà al loro restauro attraverso la rimozione di depositi superficiali aderenti con acqua, spruzzatori o pennelli e l’applicazione di bendaggio di sostegno nei casi di fratturazione o fessurazione per consentire l’applicazione del consolidante.
Si precisa che per l’attività di restauro si opererà in stretta collaborazione con la
Soprintendenza ai Beni Architettonici.
Le operazioni da avviare si possono così sintetizzare:
- Restauro degli elementi decoratici della facciata con bonifica delle parti ammalorate;
- Rimozione dello strato pittorico che in più parti mostra segni di disgregazione;
- Finitura con intonaco di calce tipo Arenino;
- Esecuzione di un canale di ventilazione lungo il perimetro esterno dell’edificio per assicurare la ventilazione del telaio di base e la parte inferiore delle partizioni murarie;
- Recupero dei portoni lignei (centrale e laterali);
- Modifiche e sostituzione degli infissi esterni per migliorare l’areazione degli spazi interni della chiesa;
- Opere relative al miglioramento dell’accessibilità della copertura delle navate e nel sottotetto (aperture porte di servizio nel campanile e sul retro del nucleo della facciata) per consentire la manutenzione delle coperture.